Arteterapia, un incontro dove “lo straniero ti permette di essere te stesso”
28 Maggio 2018
Nella foto, di GIN ANGRI, un momento del nostro atelier al Chiostrino Artificio
Con Alexandra Kalsdorf abbiamo approfondito alcune tematiche relative all’Arteterapia e al percorso che ci ha permesso di incontrarci e realizzare un progetto di grande importanza per la nostra Cooperativa e per le persone accolte sul territorio.
Conoscere Alexandra Kalsdorf e condividere con lei un progetto e un percorso artistico che permetta alle persone straniere la conoscenza reciproca e l’integrazione è stata un’esperienza importante e coinvolgente per la Cooperativa Symploké.
Alexandra, come ci hai conosciuti?
«Ho conosciuto Symploké spinta dal desiderio di agire in modo concreto riguardo a ciò che vedevo accadere da alcuni anni intorno a me: l’arrivo di persone in spostamento per svariati motivi e in circostanze difficili in una terra e una società sconosciute».
La proposta di Alexandra, nata all’inizio del 2017, di far nascere tre laboratori di Arteterapia, coinvolgendo numerosi richiedenti asilo ospitati in alcune strutture coordinate da Symploké, ha ottenuto un’ampia adesione, favorendo la conoscenza delle persone (ragazzi, uomini e donne di diverse età e di differenti provenienze culturali) e facilitando la loro integrazione sul territorio.
Ogni laboratorio ha previsto la realizzazione di opere pittoriche su vari supporti e con differenti materiali e tecniche figurative; la partecipazione a tali progetti è stata volontaria; gli incontri di gruppo si sono svolti con cadenza settimanale.
«Le immagini che vengono al mondo all’interno di un laboratorio di arteterapia» racconta ancora Alexandra (l’intera intervista è scaricabile qui) «raccontano molto sulle persone che le hanno prodotte. Appartengono intimamente a loro. In un contesto transculturale di lavoro l’arteterapia deve agire con attenzione, rimanere aperta all’ascolto ed eventualmente mettere in questione i suoi paradigmi consolidati».
Durante l’ultimo percorso, il tema privilegiato è stato la narrazione autobiografica: con persone che si trovano attualmente in situazioni di vita spesso destabilizzanti, si è voluto lavorare su momenti, luoghi, persone, scene e sogni (di ieri, oggi e domani) che danno forza e positività, e in generale su fatti importanti e significativi della propria vita, al fine di promuovere la consapevolezza di sé e delle proprie risorse e di “guardare avanti” con autodeterminazione.
I tre laboratori
I tre progetti ideati e messi in campo da Alexandra hanno ognuno un obiettivo ben definito e una particolare denominazione: “Laboratorio di Arteterapia con MSNA”; “Il murales nella Ciclo-Officina di Fino Mornasco”; “Incontro d’arte. Un percorso di arteterapia nell’atelier”.
I primi due si sono svolti nel corso del 2017.
(Clicca qui per l’approfondimento e la descrizione dei tre laboratori)
Il terzo laboratorio, in particolare, è una sintesi delle esperienze precedenti: in 18 incontri tra febbraio e giugno 2018 si è svolto un percorso strutturato di arteterapia con soggetti provenienti da diverse culture (stranieri e italiani). Questa esperienza, che ha avuto luogo al Chiostrino di Sant’Eufemia a Como, era aperta a ragazzi, uomini e donne di diversa età e provenienza e, nel mese di giugno, avrà un interessante esito nella realizzazione di una mostra aperta al pubblico. L’obiettivo del terzo laboratorio: offrire uno spazio protetto di espressione in cui sperimentare la propria creatività come canale di comunicazione di sé e come strumento di scambio tra persone provenienti da diversi contesti culturali. Inoltre, si è puntato al benessere della persona in generale, nonché sulla promozione della conoscenza reciproca e integrazione delle persone che condividono lo stesso spazio di lavoro e i suoi contenuti.
Alexandra, parlaci di questo ultimo laboratorio: di che si tratta e quali “prodotti” escono? Qual è l’obiettivo dell’esposizione?
«Ho cercato di stabilire qui un laboratorio “controllato”. È prevista una mostra, e i partecipanti ne sono al corrente. In primis volevo dare l’opportunità a ognuno di collegarsi o di ricollegarsi con le proprie risorse, che tutti abbiamo a disposizione, anche nelle situazioni più difficili e destabilizzanti. Inoltre stiamo lavorando in un gruppo misto di persone straniere e italiane: è un punto d’incontro, un momento per conoscersi, un momento di comunicazione…Proprio come vuole essere la mostra finale. Penso che le opere che nascono in un laboratorio di arteterapia non siano esponibili allo sguardo di un pubblico. In questo caso, come menzionato sopra, le persone erano informate sin dall’inizio».
Qualche scoperta o sorpresa?
«Nel lavoro con persone che possiedono uno sfondo culturale diverso da quello che ha nutrito me finora comprendo che si può solo arrivare a un’asse di parità: lo “straniero” lavora con me con mezzi e paradigmi a lui estranei, e io lavoro con una sostanza psichica-culturale e la sua espressione in prodotti estetici diversi da quelli che conosco. Col tempo la frase di Edmond Jabès dispiega il suo significato sempre di più: “Lo straniero ti permette di essere te stesso, facendo di te uno straniero […]. La distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi”».