Tapha, Momodou e Tijan: tre storie positive
16 Maggio 2016
Nella foto, Momodou, Tapha e Tijan durante il nostro incontro al centro di via Sirtori a Como
Tapha, Momodou, Tijan. Tre storie. Tre storie come tante. Anzi, no. Perché sono storie positive.
Infatti, Tapha, Momodou e Tijan sono tre giovani migranti, giunti sul nostro territorio alla fine del 2014, che hanno ottenuto il parere positivo della Commissione che esamina le domande di asilo (una percentuale esigua tra gli innumerevoli dinieghi sfornati in questi anni) e oggi vivono con regolare permesso, alcuni svolgono un lavoro stabile, e hanno di fronte un futuro di speranza.
Lo si vede nei loro occhi e lo si percepisce quando sorridono alle battute durante un breve ma simpatico e amichevole colloquio, facilitato dalla presenza di Alessio, operatore di Symploké. Lo si intuisce anche quando non rispondono, per pudore e riservatezza, a domande che li riportano al loro passato fatto di sofferenza, paura, ricordi indicibili.
La storia di Tapha
Tapha, 30 anni, è fuggito dal Gambia nel 2012, ha trascorso un anno in Senegal poi, dopo diversi mesi vissuti in Libia facendo il lavoro di elettrauto, ha dovuto lasciare il Paese in guerra. Si è imbarcato, ha raggiunto la Sicilia dopo un viaggio «allucinante», e in pochi giorni è arrivato a Como. Prima è stato ospitato in via Sirtori, nella struttura di accoglienza presso il Centro Card. Ferrari (5 mesi), poi a Lora, presso le Suore Guanelliane (1 anno e 2 mesi) e ora abita a Lipomo, in un appartamento gestito dalla Caritas. Dopo aver ottenuto il riconoscimento di protezione umanitaria (ma ha dovuto fare ricorso perché la prima volta la risposta era stata un secco diniego) è stato assunto dalla Cooperativa Symploké come operatore e oggi svolge attività di prima accoglienza in via Sirtori.
«Potete immaginare la mia felicità quando ho ottenuto il riconoscimento. Io mi trovo bene in Italia, ho tanti amici e questo lavoro mi fa sentire utile. Lavoro sei ore al giorno, sei giorni alla settimana… e il tempo vola tra tante cose da fare. So di essere apprezzato dagli operatori e dai volontari che ogni giorno mi affiancano, e ciò mi rende orgoglioso».
Tapha quando ride il suo sorriso è contagioso. Ma sappiamo che la sua vita non è stata facile. «In Gambia – dice – ho lasciato mia moglie e due figli piccoli. Con loro mantengo contatti costanti e a loro giunge periodicamente parte del mio guadagno. Un giorno spero di rivederli. Mi è spiaciuto perdere anche il mio lavoro di elettrauto, ma in Libia non potevo restare. Ho visto persone uccise come animali, esperienze difficili da descrivere. L’unica possibilità è stata quella di fuggire. Grazie amici italiani».
La storia di Momodou
Momodou ha 19 anni ed è del Gambia. Da un anno e 10 mesi è a Como, giunto dalla Sicilia su un barcone stracarico di persone. A Como è arrivato quasi subito e, grazie alla Caritas diocesana e alla rete di solidarietà organizzata sul territorio, ha trovato alloggio in questi mesi nella struttura di via Sirtori, poi dalle Suore Guanelliane di Lora e, attualmente, nell’appartamento di Lipomo assieme a Tapha e a Tijan.
Anche Momodou ha un lavoro stabile. Da circa 8 mesi cucina pizze e focacce presso il panificio “Beretta” di via Tentorio a Camerlata con un regolare contratto di apprendistato. Prima di trovare questa occupazione ha frequentato per tre mesi uno dei tanti corsi di formazione organizzati da Caritas e Acli di Como e anche questo impegno è stato sicuramente importante per trovare un’occupazione. Momodou non è un ragazzo di tante parole. Per lui parlano i suoi occhi, le sue mani.
«Sono stato anch’io fortunato perché ho avuto il parere positivo della Commissione e quindi il permesso di protezione umanitaria. Dove lavoro – ci dice sorridendo – mi trovo bene con i colleghi, che sono sempre disponibili a darmi una mano. Con il tempo mi sono abituato anche agli orari di lavoro non sempre facili: inizio infatti il mio turno alle 4 del mattino fino a mezzogiorno per sei giorni alla settimana. Ma certo non mi lamento, il mio lavoro mi piace. Anzi, mi sento un privilegiato rispetto a tanti miei amici che ancora non hanno un’occupazione stabile o, peggio ancora, non sanno qual è il loro destino perché hanno avuto il diniego in Commissione e attendono con ansia l’esito del ricorso».
Anche Momodou ha un passato non facile alle spalle e ricordare “fa male”. «Ho lasciato il mio Paese nel 2013 – afferma abbassando lo sguardo – per trovare una vita migliore. In Gambia ho lasciato mia mamma e un fratello. Con loro sono spesso in contatto telefonico e li aiuto economicamente. Dopo aver trascorso alcuni mesi in Libia, recluso in una prigione senza aver commesso alcun reato, alla fine del 2014 sono fuggito via mare sperando di trovare salvezza e un futuro migliore in Italia. Oggi sono a Como e sono felice di avere un lavoro e tante persone amiche. Non è vero che l’Italia non accoglie bene gli immigrati. Io non ho avuto mai esperienze negative fino ad oggi».
La storia di Tijan
Tijan, diciannovenne del Senegal, è sbarcato sulle coste della Calabria nell’ottobre del 2014. In breve tempo il destino lo ha portato a Milano e poi in terra lariana. Subito è stato accolto nella struttura di via Sirtori (circa 1 mese), poi ha alloggiato circa 1 anno presso la parrocchia di Rebbio e, attualmente, abita in un appartamento coordinato dalla Cooperativa Symploké.
Arrivato in Italia, ancora minorenne, dopo le solite procedure burocratiche ha ottenuto anch’egli il parere positivo della Commissione. «Nel frattempo ho avuto l’opportunità – dice con un po’ di affanno per essere arrivato in ritardo al nostro appuntamento… e ciò ha fatto sorridere per l’ennesima volta i suoi compagni – di frequentare il corso di cucina organizzato a Rebbio e il corso di italiano con gli altri compagni presso la “Cometa”, che è stato particolarmente utile nonostante quasi tutti noi conosciamo un po’ di inglese. Dopo questa esperienza sono riuscito anche a svolgere il lavoro di aiuto-cuoco, un periodo di tirocinio presso un ristorante di Como durato circa 6 mesi, che purtroppo non ha avuto seguito. Adesso sono in cerca di un’occupazione. Mi sto impegnando a distribuire il mio curriculum, in questo sono aiutato anche dagli operatori e dai volontari della Caritas, ma oggi, si sa, non è certo facile trovare un lavoro».
Tijan non ha sicuramente l’aria di chi vuole arrendersi facilmente. Anzi, sembra prendere le cose con una certa… “filosofia”. Anche se la sua vita, come possiamo immaginare, ha avuto tratti drammatici.
«Sono arrivato in Italia dopo due giorni di viaggio infernali. Mio papà era senegalese, ma purtroppo è morto anni fa. Mi sono rimasti soltanto mia mamma che oggi vive in Gambia con mio fratello di 15 anni, studente. Finora sono riuscito ad aiutarli economicamente, ma senza un lavoro stabile sarà più difficile. Ho un desiderio: avere la possibilità di tornare anche solo un giorno in Gambia per riabbracciarli, perché non li vedo da quattro anni, e poi tornare di nuovo in Italia. Ho un amico che ha trovato accoglienza in Germania. Spesso mi chiede di raggiungerlo, ma io mi trovo bene qui. Ho sempre avuto accoglienza e rispetto. Ricordo in modo particolare il periodo che ho trascorso da don Giusto a Rebbio. È una brava persona. Da lui eravamo in 15, ospitati nei locali della parrocchia, ma devo dire che tutta la comunità di Rebbio ci ha accolto bene, con grande rispetto».
Tapha, Momodou, Tijan. Tre storie. Tre storie come tante. Anzi, no!